Alla base di un corretto sviluppo delle FERNP (FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI NON PROGRAMMABILI) esistono sia i sistemi di accumulo che le smart grid( RETI INTELLIGENTI PER LA GESTIONE DELL'ENERGIA ELETTRICA). I sistemi di accumulo da
utilizzare sulla rete richiedono capacità di stoccaggio di non pochi kWh di
elettricità, ma di diversi MWh (megawattora).
In un futuro energetico, in cui gli impianti che
sfrutteranno sole e vento avranno una importanza dominante, occorrerà avere
sistemi che gestiranno l’accumulo; immagazzinando l’energia prodotta nei
momenti di sovrapproduzione, rispetto al carico in rete, della risorsa
rinnovabile, restituendola quando ce n’è sarà bisogno. Anche se il problema
riguarda soprattutto l’incertezza della fonte, in modo particolare per
l’energia eolica, anche la produzione solare, in certi periodi dell’anno, per
esempio nei giorni festivi molto soleggiati, può portare a eccessi di
produzione, che sarebbe bene poter accumulare, per stabilizzare la rete e non
sprecarli.
Gli impianti dovranno essere capaci di stoccare non
pochi kWh di elettricità, ma MWh o più considerando anche il fattore
economico, in quanto l’energia accumulata dovrà essere immessa in rete ad un prezzo
da poter essere competitivo con gli altri sistemi di produzione.
Ci sono molte tecnologie atte all’accumulo elettrico
per la rete, ma in generale possiamo identificare tre macro categorie:
- sistemi fisici
- elettrochimici
- chimici
I primi accumulano energia elettrica trasformandola in
energia potenziale gravitazionale o di pressione, pompando acqua in bacini
idroelettrici o comprimendo aria in strutture geologiche sotterranee (CAES, compressed air energy storage). Sono
sistemi economici, robusti e abbastanza efficienti, ma non realizzabili
ovunque.
I secondi, le batterie, accumulano l’elettricità
sfruttando la differenza di potenziale elettrochimico fra elettrodi diversi.
Hanno un’alta efficienza, ma i prezzi attuali di mercato sono elevati e hanno
una vita spesso piuttosto breve
I terzi accumulano energia producendo composti chimici
reattivi come l’idrogeno o il metanolo. Hanno una efficienza complessiva molto
bassa, ma il vantaggio di poter accumulare l’energia in qualsiasi quantità, e
senza limiti temporali.
I pro e contro di questi sistemi sono oggetto di
studio e ricerca, per decidere quale mix da utilizzare in futuro. L’Italia, per
esempio, punterà sicuramente sui sistemi di pompaggio, di cui è già
abbondantemente fornita, con una decina di GWh di capacità, limitando l’uso di
batterie ad alcuni casi di impianti eolici isolati. La Germania, invece, non
avendo grandi potenzialità idroelettriche adatte per il pompaggio, sta
studiando sia il CAES in caverne, che l’accumulo chimico, sotto forma di metano
sintetico.
Una mano a decidere sulla validità dei vari sistemi di
accumulo, la dà adesso Charles Barnhart, ingegnere energetico della Stanford
University, che in una ricerca pubblicata sulla rivista Energy &
Environmental Science, ha creato un parametro che indica la convenienza
economica e ambientale dei vari sistemi di accumulo.
Questo numero, chiamato ESOI (Energy Stored On Investment) si ottiene dall’energia accumulata nell’intera vita
dell’impianto, moltiplicata per l’efficienza nel ciclo di accumulo/rilascio,
diviso per l’energia impiegata per la costruzione e installazione dell’impianto
(qualcosa di simile EROEI, l’Energy
Returned On Energy Invested o ritorno energetico sull’investimento energetico,
ndr). In questo primo studio, Barnhart ha considerato solo il pompaggio, l’aria
compressa e cinque tipi di batterie: al litio, al sodio-zolfo, allo
zinco-bromo, al vanadio (del tipo a flusso) e al piombo.
I suoi risultati (vedi grafico) danno un chiaro
pollice verso per i sistemi elettrochimici: l’ESOI delle batterie varia infatti
da 10 per quelle al litio ioni, a un misero 2 per le batterie al piombo. Queste
ultime, quindi, riescono ad accumulare nel corso della loro vita, appena il
doppio dell’energia che è servita a costruirle, escludendo quindi la
possibilità di un loro uso globale come sistema di accumulo.
“Anche riciclando i loro metalli a fine vita, per
costruire nuove batterie - Branhart asserisce che si risolverebbe poco, in
quanto il riciclo più o meno dimezza l’energia usata per la costruzione della
batteria, non aumentando in modo sufficiente il loro ESOI.
Inoltre, un
loro uso globale a questo scopo, obbligherebbe a costruire milioni di nuove
batterie, a partire da risorse minerarie, con ben poco contributo dal riciclo.
Il risultato finale sarebbe un enorme aumento dei costi dell’energia e delle
emissioni di CO2”.
Pollice decisamente su, invece per i sistemi fisici:
il pompaggio idroelettrico ottiene un ESOI di 210, il CAES addirittura di 240,
cioè nel corso della sua vita un impianto ad aria compressa riuscirebbe ad
accumulare 240 volte tanta energia quanto è servito a costruirlo, di fatto
aggiungendo ben poco, come costo capitale, al prezzo dell’energia accumulata.
“Il problema principale delle batterie è la loro
durata limitata. Oggi i costruttori, pensando alle auto elettriche, stanno
migliorando le loro capacità di accumulo. Per la rete, invece, la
caratteristica che conta è il numero di cicli carica/scarica che il sistema
sopporta prima di dover essere sostituito. Bene, si scende dai 25.000 cicli di
un impianto di pompaggio agli appena 700 di un accumulatore al piombo. Fino a
che l’industria non creerà batterie di lunga vita pensate per l’accumulo di
rete, questi dispositivi, pur con tutti i loro vantaggi di efficienza, facilità
di uso e flessibilità, avranno poche chance in questo settore”.
C’è poi un altro svantaggio delle batterie, rispetto
ai sistemi fisici. “Non si è affatto certi che esistano al mondo riserve
economiche di metalli, come il vanadio, il litio o il piombo, per costruire
abbastanza batterie al fine di coprire le esigenze globali di accumulo, cioè fra 4 e 12 ore di tutta l’elettricità
giornaliera mondiale, quindi fra 8 e 25 TWh. Pompaggio e CAES, invece non
richiedono altro che banali pompe, cemento, tubi e compressori”.
Pompaggio e CAES hanno però limitazioni geografiche:
il primo richiede bacini idrici posti a livelli diversi, il secondo formazioni
geologiche, come caverne, giacimenti di metano esauriti o acquiferi profondi,
dove pompare l’aria.
Ma recentemente sono state proposte soluzioni per
aggirare proprio questi ostacoli. Il Belgio, ad esempio, intende accumulare la
sua energia eolica in eccesso, in una sorta di “lago nel mare”, un bacino
artificiale a livello inferiore al fondo marino, isolato con un terrapieno
circolare dalle acque intorno, da cui estrarre l’acqua nei momenti di eccesso
di produzione eolica, per poi farla rientrare, attraverso turbine, in quelli di
eccesso di domanda.
In Inghilterra, Seamus Garvey, ingegnere alla
Nottingham University, sta invece sperimentando un sistema di CAES sottomarino,
che accumula aria compressa in palloni ancorati sul fondo, tenuti in pressione
dallo steso peso dell’acqua, rendendo così ogni mare profondo adatto al CAES.
“Lasciando da parte i sistemi di accumulo chimico di
cui ancora non si è avuta occasione di valutare l’ESOI,
fra i sistemi considerati nella ricerca dell’ingegner Barnhart, quelli con la
maggiore possibilità di soddisfare una richiesta globale di accumulo sono il
CAES, geograficamente meno limitato del pompaggio, e, fra le batterie, quelle
al sodio-zolfo, che pur avendo un ESOI di appena 6, usano elementi estremamente
comuni ed economici, e hanno ancora grandi margini di miglioramento verso una
maggiore longevità”.
Il dibattito è aperto, e quanto pare c'è ancora tanta
ricerca da sviluppare.
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