Breaking 2h


Rompere il muro delle 2 ore nella maratona

In un articolo pubblicato qualche mese fà, intitolato “Indoor rowing Vs corsa”, affrontammo il discorso relativo al consumo calorico di queste due discipline. Mi sembrava doveroso realizzare un articolo dedicato solo alla corsa, in occasione del tentativo di record della Maratona, per battere il muro delle 2 ore...


Lo scorso 6 maggio, alle 5.30 del mattino sul circuito di Monza, tre super maratoneti hanno tentato di infrangere il muro delle due ore per concludere una maratona (42,195 km). L’impresa titanica si è conclusa con un nulla di fatto.

Solo l’attuale campione olimpico di Rio 2016, il keniota Eliud Kipchoge si è avvicinato all'impresa, chiudendo Il percorso in 2h:00’:25”.


Il tempo eccezionale, al di sotto di oltre due minuti dall’attuale record del mondo, non potrà essere omologato, perché mancavano i requisiti tipici di validazione imposti dalla federazione internazionale.
In realtà, lo scopo era puramente rivolto a comprendere se il limite delle due ore, considerato un obiettivo quasi disumano, era attualmente alla portata degli atleti moderni e della tecnologia che la Nike ha messo a disposizione - anche per le scarpe create ad hoc per l’evento.


In realtà, la ricerca scientifica dimostra che per l’uomo i limiti sembrerebbero non esserci mai e che, a ogni record battuto, ci avviciniamo in maniera asintotica a questo ipotetico limite. Inoltre, la storia ci insegna che anno dopo anno riusciamo a battere record che sembravano irraggiungibili.

Sul limite delle due ore nella maratona, già negli anni ’90, si sono espressi molti ricercatori. In particolare, uno di essi, il prof. Michael Joyner dell’Università del Minnesota, nel 1991 pubblicò un documento in cui esaminava i concetti fondamentali riguardanti i fattori “limitanti” nelle prestazioni di resistenza, modellando i tempi di una maratona sulla base di diverse variabili: l’andamento dei record nella storia, le combinazioni di valori precedentemente riportati di assorbimento del massimo consumo di ossigeno (VO2max), la soglia di lattato e l’efficienza del gesto atletico nell’analisi del consumo energetico durante il percorso da parte dei maratoneti d'elite.


Il concetto espresso da Joyner è che il VO2max imposta il limite superiore per il metabolismo aerobico - ci da la potenza massima che potremmo utilizzare teoricamente - mentre la soglia del lattato nel sangue con cui è possibile attuare una prestazione di durata pari a 120 minuti è correlata alla frazione di VO2max, che può essere sostenuta in eventi sportivi di distanza maggiori di circa 3.000 m, soglia oltre la quale l’atleta produrrebbe troppo lattato, costringendolo a fermarsi o rallentare.
L'economia del gesto è infine un elemento fondamentale per interagire con le altre due variabili - la soglia di lattato e di VO2max - per determinare la velocità effettiva alla quale l’atleta potrà eseguire la sua prestazione, che è generalmente una velocità simile a (o leggermente più bassa) alla soglia del lattato sostenibile.
Una varietà di combinazioni di queste variabili rilevate nei test sui corridori di élite ha determinato tempi di esecuzione stimati molto più veloci rispetto al record mondiale dell’epoca (2:06:50), e addirittura, Joyner predisse che il tempo più veloce per la maratona, da questo modello da lui impostato, poteva essere 1:57:48. Tempo realizzabile da un soggetto ideale con una VO2max di 84 ml.kg-1.min-1 -valore eccezionalmente elevato-, una soglia di lattato dell'85% del VO2max e un'eccezionale economia di funzionamento di tutta la macchina atleta.


Questa analisi suggerisce che i miglioramenti sostanziali delle prestazioni nella maratona sono "fisiologicamente" possibili e che sicuramente c’è molto da fare per migliorare quello che forse è il limite più importante, ovvero l’efficienza di esecuzione o il costo energetico del gesto atletico.
In un altro studio, più attuale, si è valutato cos'è il costo energetico dell’atleta.


L’analogia più frequentemente utilizzata, per spiegare l'economia del gesto atletico, è quella relativa ai consumi di un’automobile - ovvero una misura di quanto carburante occorre per coprire una certa distanza. In realtà l’analogia dovrebbe considerare che il nostro corpo è più simile a un motore ibrido che utilizza più tipologie di carburanti.

Di quale "combustibile" stiamo parlando nel caso specifico per un’atleta?
Questa è la domanda esplorata in un nuovo articolo da ricercatori dell'Istituto Inglese di Sport della Loughborough University, pubblicato su Medicine & Science in Sports & Exercise
Esistono due opzioni fondamentali per esprimere l'economia nell’esecuzione dell’esercizio fisico.
Possiamo considerare sia "Quanto ossigeno bisogna fornire ai muscoli per eseguire un km?" Oppure ci si può chiedere: "Di quante calorie bisogna disporre per eseguire un km?" In teoria, la risposta alle due domande dovrebbe essere intercambiabile, perché l'ossigeno che i muscoli consumano è usato nella reazione che trasforma le calorie dei processi energetici metabolici.
Ma in pratica, questo potrebbe non essere corretto. Lo studio di cui parliamo utilizza i dati di 172 corridori di élite testati all'EIS nel corso dell'ultimo decennio, con economia del gesto (o costo energetico) misurata a quattro velocità diverse al di sotto della soglia del lattato. Dallo studio si evince che, il numero di calorie bruciate per chilometro aumenta costantemente: più velocemente si esegue il test e più calorie si bruciano per coprire una determinata distanza. Mentre il costo dell'ossigeno per chilometro rimane pressoché uguale a tutte le velocità. 
Perché esiste questa differenza? Lo studio affronta anche il concetto di "rapporto respiratorio", che riflette il rapporto tra carboidrati e grassi bruciati per produrre l'energia (ecco perché il nostro motore è un ibrido in termini di combustibile).
Ed è evidente che mentre si velocizza l’andatura, si brucia una maggiore percentuale di carboidrati, cosa abbastanza ovvia perché si ottiene più energia per unità di ossigeno da carboidrati rispetto al grasso, questo spiega perché velocità superiori sono in grado di bruciare più calorie senza utilizzare più ossigeno.
Qual è l’aspetto pratico di tutto ciò? Molto semplice: e quello che, per avere più energia devo cambiare combustibile, ma il combustibile carboidrati non aumenta solo la potenza e quindi la velocità, infatti se lo stesso utilizzo di combustibile viene incrementato troppo si innalza anche la produzione di acido lattico in maniera troppo elevata e tale meccanismo genera fatica e dolore e inoltre esiste un limite anche di riserve di carboidrati (glicogeno) che è estremamente ridotto rispetto alle riserve energetiche di grasso che un’atleta può avere.
Non da meno sono le caratteristiche fisiche degli atleti che potranno raggiungere questo limite. Sempre Joyner, in un suo studio scrive

What Will the 2-h Marathoner Look Like?

Joyner ci dice che 42 delle 50 maratone più veloci sono state vinte da Keniani o Etiopi, l'altezza media e il peso dei 30 corridori (29 africani) che hanno corso i 10.000 m al di sotto dei 27 minuti è 170/ ± 6 cm e 56 ± 5 kg, con solo un corridore superiore a 178 cm o 70 kg. Inoltre, la maggior parte di questi atleti hanno vissuto ad alta quota e hanno iniziato l’attività fisica molto presto nella vita.
In definitiva l’atleta che riuscirà a battere il muro delle 2 ore dovrà essere un mix perfetto delle variabili che Joyner inserì nella sua formula e, a quanto pare, per ora, in nessuno degli atleti esistenti questo mix ha consentito di battere il muro.

Un’impresa titanica, quasi impossibile ma che molto probabilmente entro il 2025 vedremo realizzare.

Commenti

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